BREVE STORIA DEL IREZUMI E HORIMONO

Traditional Tattoo It è stato invitato quest’autunno a Milano al museo Arte e Scienza per un ciclo di conferenze molto interessante organizzato dal centro culturale Italia-Asia, presieduto dalla docente Susanna Marino, in cui si è parlato di scarificazione rituale, tatuaggi sacri e tradizione giapponese.
In questo articolo tratteremo gli argomenti affrontati nella conferenza “Irezumi e horimono, il corpo come superficie decorativa – Il tatuaggio esce allo scoperto, taboo e accettazione del tatuaggio nel Giappone contemporaneo”.
Questo intervento è stato presieduto da Susanna Marino, docente all’università Bicocca di lingua e cultura giapponese, e Andrea Pancini, insegnante di lingua giapponese alla scuola civica di lingue orientali a Milano; e fornisce una panoramica sullo sviluppo del tatuaggio tradizionale durante i secoli e della sua percezione nel Giappone moderno.
Partiamo dalla terminologia, in giapponese esistono 3 termini per indicare il tatuaggio:
Tattoo – usato in epoca contemporanea per indicare tatuaggi estetici e di piccole dimensioni
Irezumi -espressione più antica, in uso tra il 17 e il 19 secolo, che significa letteralmente “inserire inchiostro”
Horimono -termine più generico che significa “incidere cose” e dal quale prende il nome il maestro tatuatore, chiamato “horishi”.

Questa pratica ha avuto una storia burrascosa, oscillando tra simbolo di discriminazione ed arte. La sua storia ha origini antichissime, come testimoniato già nel 3 secolo d.C. da uno storico cinese, che descriveva i membri dei clan giapponesi come individui caratterizzati da pitture corporali bidimensionali (simili a quelle tribali) usate come talismani di protezione, con valori altamente simbolici.
Un cambiamento interessante avvenne nell’ ottavo secolo, quando il tatuaggio assunse la valenza di marchio discriminatorio: influenzati da un’antica pratica cinese, i traditori e i criminali iniziarono ad essere tatuati obbligatoriamente sulla fronte. Nel 16 sec l’imperatore fece costruire un edificio che aveva lo scopo di contenere i detenuti in attesa di giudizio e dove gli stessi venivano marchiati con ideogrammi specifici in base al tipo di reato commesso. Nel secolo successivo i caratteri vennero sostituiti da semplici strisce nere sulle braccia, che si sommavano a seconda della gravità del crimine commesso.


Una volta tatuato l’uomo non era più considerato membro della società, ma un “senza casta” privo di onore. Per esorcizzare questa condizione e trovare un nuovo senso di appartenenza, i reietti iniziarono a coprire questi segni di infamia con raffigurazioni più elaborate di divinità. La credenza era che in questo modo le qualità del dio scelto si incarnassero nella persona tatuata, inoltre queste immagini suscitavano timore nell’uomo comune. Si capovolse così il significato del tatuaggio che divenne volontario e si diffuse molto nei quartieri del piacere delle grandi città di Kyoto e Osaka.
Tra il 18 e il 19 secolo si venne a formare quella che oggi è considerata l’arte del tatuaggio tradizionale giapponese: grandi disegni intricati di mirabile bellezza e tecnica, con colori e movimenti ispirati alle stampe hukiyo-e.

Per la prima volta l’affermazione di quest’arte portò all’approvazione del tatuaggio anche nei membri di altre caste: ad esempio nel periodo edo i pompieri erano soliti tatuarsi la schiena o tutto il corpo, per coprirsi durante il lavoro e non mostrare la pelle nuda (dato che lavoravano in perizoma).

pompiere giappo

Gli horishi erano i maestri tatuatori e per essere considerati tali dovevano fare un apprendistato di 5 anni nel quale dovevano assistere il tatuatore anziano non solo nel tatuaggio, ma in tutti gli aspetti della vita quotidiana, senza mai poterne praticare l’arte.
Dalla seconda metà del 19 secolo le cose cambiarono ancora, il nuovo governo voleva dare al mondo occidentale un’immagine del popolo giapponese più “moderna” e “meno selvaggia”, e decise di bandire la pratica dell’horimono. Nonostante ciò molti europei rimasero comunque affascinati da quest’arte e decisero di tatuarsi durante i loro viaggi in oriente, dando così visibilità internazionale a questa tradizione. Nel 1876 infatti venne emanato un decreto che mise fuorilegge tatuatori e tatuati, rendendone la pratica illegale; esso venne elencato tra i crimini minori e pose un freno al lavoro degli horishi, che di fatto dovettero inventarsi mestieri di facciata, come artigiani o pittori, per continuare a tatuare di notte lontano da occhi indiscreti. Questa messa al bando cambiò in modo significativo la percezione dell’irezumi nella gente comune e, anche dopo l’abolizione del decreto nel 1948, il tatuaggio rimase legato alla malavita.horishi
Una rinascita dell’horimono si ebbe durante gli anni ’80, quando le rock band in tour portarono il tatuaggio occidentale in oriente e a loro volta rimasero entusiaste di quello giapponese. Si venne così a creare una nuova spaccatura: da una parte i giovani nipponici riscoprirono questa cultura e la riproposero in un contesto underground, dall’altra gli anziani continuarono ad ostracizzarla.
Ancora oggi, se in occidente è comune mostrare i propri tatuaggi, in Giappone essi sono visti come tesori preziosi da nascondere, e la loro bellezza è misurata anche in base alla loro segretezza.
La cultura nipponica rimane di fatto tatuaggiofobica poiché ritiene sconveniente mostrare tatuaggi in pubblico, discriminando le persone tatuate, che molte volte non sono ammesse nei luoghi dove si mostra la pelle nuda, come ad esempio i bagni pubblici o le terme. Negli ultimi anni, anche grazie all’incremento del turismo in Giappone si sono venute a creare situazioni spiacevoli nei confronti degli stranieri tatuati, che devono sottostare alle rigide normative nazionali.
In questo senso le istituzioni non sono a tutt’oggi in grado di cambiare questa percezione, o non si dimostrano comunque propense a farlo.
Per chi viene da fuori è forse strano scoprire come i nipponici vedano con estrema diffidenza una parte della loro cultura così apprezzata all’estero. Ma ricordiamo che ci sono molti artisti che portano avanti con passione questa vecchia tradizione.
Se siete amanti del tatuaggio giapponese e avete in progetto una vista nel paese del Sol Levante tenete quindi a mente queste differenze.
Speriamo di essere riusciti a spiegarvi quello che non sapevate sulla cultura del tatuaggio tradizionale giapponese o di avervi incuriosito, diteci cosa ne pensate nei commenti qui sotto.
Ringraziamo tutti i curatori di questa iniziativa e vi invitiamo a tenere d’occhio il loro sito per gli appuntamenti futuri.
Un saluto
Lo staff di Traditional Tattoo It

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IL TATUAGGIO TRADIZIONALE GIAPPONESE

La storia del tatuaggio tradizionale giapponese è un argomento complesso e sicuramente non racchiudibile in un unico articolo, per questo oggi cercheremo di tracciare le linee guida che hanno portato il tradizionale giapponese a come lo conosciamo oggi, e i motivi per cui è profondamente diverso rispetto a quello occidentale a cui siamo abituati.

Partiamo!

edo2Le origini del tatuaggio in epoca preistorica sono simili in molte tribù sparse per i vari angoli del globo e in particolare possiamo già parlare delle prime forme di tatuaggio verso il 10.000 A.C., epoca in cui le donne delle tribù Ainu erano solite tatuarsi piccoli marchi sulla parte superiore del labbro in giovane età, in modo da prendere la forma degli dei da loro adorati cosi da confondere e spaventare i demoni che causavamo malattie e pestilenze.

Durante i millenni successivi il tatuaggio assume la connotazione spirituale e sociale tipica delle varie culture primitive delle diverse parti del mondo: oltre a curare le malattie e proteggere dagli spiriti maligni, conferisce anche lo status sociale ai vari membri della tribù stessa.

Dal 300 D.C. Il tatuaggio inizia a essere usato invece come marchio per segnare criminali e fuorilegge. Questa pratica è influenzata dalla cultura della vicina Cina, che vede il tatuaggio come qualcosa di barbaro e primitivo.

Più o meno nel 700 D.C. si ha la prima prova documentata di un tatuaggio usato come pena: “L’imperatore convocò Hamako, Muraji di Azumi, condannandolo dicendo: Hai complottato per ribellarti e rovesciare lo stato, saresti punito con la morte, ma sarai graziato e condannato ad essere tatuato.”

outlawIn questi secoli il tatuaggio viene quindi largamente usato come punizione e vi sono diversi tatuaggi riconoscibili come “criminali”, esempi sono una croce all’interno dell’avambraccio, una linea dritta all’esterno di esso o sulla parte superiore del braccio.
Questa tecnica viene definita Bokukei.
Ogni regione del Giappone adotta i propri simboli per identificare i criminali, ad esempio una di esse usa tatuare il carattere “cane” sulla fronte dei condannati, mentre altre utilizzano cerchi o linee sulle braccia o sul viso. Chi viene marchiato con questo tatuaggio solitamente rimane emarginato dalla società, non può più partecipare ai riti comunitari ed è ostracizzato anche dalla sua stessa famiglia, e questo per i giapponesi è una terribile forma di punizione.

Verso la fine del 17esimo secolo il tatuaggio abbandona la concezione di punizione, in quanto vengono stabilite altre forme di pena e chi lo porta inizia ad abbellirlo ed ingrandirlo con altri temi.

culiIl periodo definito “Edo” segna la cancellazione della pratica del Bokukei e il tatuaggio vive il suo massimo periodo espressivo. Portato con orgoglio da mercanti, pompieri ed artigiani viene influenzato da tutta la cultura classica ed i soggetti sono copiati dalle opere degli illustratori più famosi del periodo. Solitamente l’artista illustratore esegue il soggetto sul corpo, e dopo il tatuatore lo copia.

Questa epoca d’oro però subisce un brusco arresto con la fine del periodo Edo e l’ostracizzazione da parte del governo giapponese della pratica del tatuaggio, dichiarato ora fuorilegge. Questo avviene per fare buona impressione sul mondo occidentale che sta iniziando ad entrare in contatto con la propria cultura, ed ironicamente ai maestri tatuatori è permesso lavorare solo su clienti stranieri, che iniziano a giungere da molti paesi occidentali affascinati da quest’arte.
Tatuare un connazionale è però severamente proibito e molti degli artisti lavorano in clandestinità.

Questo è uno dei motivi per cui la Yakuza è associata al mondo dei tatuaggi e del perchè le cosiddette “body suit” vedono i polsi, gli arti inferiori, il collo e la parte centrale del petto libera: in questo modo i tatuaggi sono copribili dai vestiti e risultano invisibili.

Artist Tattooing Woman's Back

È solo con la fine della seconda guerra mondiale che il tatuaggio torna legale in Giappone, anche se oramai il costume e la cultura, soprattutto da parte degli anziani e del governo, lo vede ancora in modo estremamente negativo. In molti posti è vietato l’ingresso ai tatuati in bagni pubblici, spa o edifici comunali, ed in generale sono molto malvisti sul luogo di lavoro. Anche per strada è raro vedere un tatuaggio tradizionale giapponese, cosa che non avviene invece per quello occidentale, che viene portato con più disinvoltura dai giovani.

Ora questa è solo un’infarinatura generale sul mondo del tatuaggio giapponese e su come viene oggi visto in quest’isola, nei prossimi articoli svilupperemo maggiormente il legame tra il tatuaggio e il crimine, studieremo i soggetti classici e la tecnica dell’Irezumi e approfondiremo tutti gli aspetti che qui abbiamo solo accennato.

Speriamo di aver catturato la vostra curiosità e andremo ad approfondire insieme la cultura che sta dietro al tatuaggio tradizionale giapponese, cultura che è bene ricordare è estremamente diversa dalla nostra.

Alla prossima e ci sentiamo nei commenti qui sotto

un saluto da parte dello staff di Traditional Tattoo It

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